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I metodi di coltivazione impiegati dai viticoltori hanno
un notevole impatto sulle qualità finali del vino. Sono però
tanto numerosi e vari che sarebbe impossibile individuare un vademecum
valido per tutti. L'abilità del vignaiolo sta prima di tutto
nella scelta del vitigno giusto da abbinare al tipo
di terreno e al clima che si ha a disposizione. Le variabili da prendere
in considerazione sono molte ed includono la composizione del terreno
stesso, la piovosità e le temperature medie a seconda della stagione.
Oltre a rendere meno probabile l'attacco da parte di parassiti, un clima
favorevole permette al vitigno di esprimere pienamente le sue
qualità. Vi è poi tutta una serie di parametri,
come ad esempio l'altezza delle vigne, l'esposizione al sole, i trattamenti
da effettuare, etc. che vanno pianificati con cura.
Una scelta importante è quella della resa per ettaro
della vite: un vitigno che fornisce quantità maggiori di grappoli
tenderà a “diluire” i nutrienti e la quantità
di zucchero presente negli acini, che produrranno quindi vini di scarsa
qualità e basso tenore alcolico; al contrario, vitigni
dalla resa scarsa sono potenzialmente la base per un vino di elevato
profilo.
La vendemmia
La prima fase del processo produttivo vero e proprio è la vendemmia,
ossia la raccolta dei grappoli d'uva maturi. Si parla in questo caso
di maturità tecnologica ossia
della migliore concentrazione possibile degli elementi utili alla fermentazione
e al conferimento dei sapori tipici del vitigno. La maturazione
naturale è invece la condizione ottimale per
la germinazione dei semi contenuti nel frutto, e potrebbe venire raggiunta
prima o dopo la maturità tecnologica.
A seconda del tipo di uva (e del vino che si vuole produrre) la vendemmia
può essere effettuata nei mesi di Agosto, Settembre,
Ottobre o Novembre.
Da alcuni anni si è diffusa una sorta di moda per la vendemmia
tardiva, nell'errata convinzione che una maggiore maturazione
(e quindi una maggiore concentrazione di zuccheri) corrisponda sempre
ad un miglior profilo qualitativo e a un maggiore tenore alcolico. In
realtà, in alcuni casi un contenuto zuccherino troppo
alto può addirittura inibire la fermentazione e comunque
un grado di maturità eccessivo indubbiamente altera le caratteristiche
gustative e il loro equilibrio.
La pigiatura
Anche se è familiare l'immagine del contadino che pigia l'uva
con i piedi scalzi, attualmente questo procedimento è realizzato
con mezzi meccanici che garantiscono una maggior resa
e velocità operativa.
Il succo d'uva estratto (o mosto) è poi purificato dalle impurità;
se dev'essere vinificato in bianco saranno rimosse
bucce, semi e raspi; se invece è destinato alla vinificazione
in rosso questi “residui” saranno lasciati per
conferire, oltre al caratteristico colore, tratti aromatici particolari
come quelli derivati dai tannini. I vini rosati
sono ottenuti con una variante della vinificazione in bianco.
La fermentazione
Perché il mosto diventi vino è necessario che gli zuccheri
contenuti nel primo si trasformino in alcol e anidride
carbonica. Il processo è innescato dall'azione
di alcuni lieviti contenuti nella buccia degli acini
oppure coltivati artificialmente e quindi aggiunti.
I tempi di fermentazione variano da 1 a 10 giorni,
e solitamente dipendono dalle caratteristiche finali ricercate nel vino.
Tendenzialmente, tempi di fermentazione maggiore generano vini più
strutturati e “secchi” (dal momento che rimane meno residuo
zuccherino).
In questa fase è possibile che avvenga l'aggiunta di anidride
solforosa per eliminare batteri e microorganismi sgraditi dal
mosto; purtroppo, questa sostanza, se assunta in grandi quantità,
può essere dannosa per la salute.
Un'alternativa, seppur costosa, esiste: si tratta della fermentazione
a temperatura controllata. Consiste nell'impiego di speciali
vasche di fermentazione chiuse e refrigerate. Le temperature
rigide distruggono i microorganismi nocivi e inoltre favoriscono la
precipitazione dei residui solidi sul fondo delle vasche stesse. Il
problema del residuo è particolarmente evidente nella vinificazione
in rosso, che, se non effettuata con questo sistema, richiede
un rimescolamento periodico del mosto, sulla cui superficie
si forma uno strato di materiale che ne impedisce l'ossigenazione (indispensabile
per la fermentazione stessa).
Al termine della prima fermentazione, è necessario separare queste
impurità (dette anche vinacce) dal vino tramite
un processo chiamato svinatura. Il vino così
“chiarificato” è quindi travasato in grandi botti
di rovere (solitamente rovere di Slavonia) nel caso
di vini di qualità, mentre i vini da tavola possono essere conservati
per breve tempo in contenitori d'acciaio.
L'invecchiamento
All'interno della botte avviene una seconda fermentazione;
è possibile che alcune caratteristiche come la gradazione alcolica
e l'acidità siano corrette (ossia modificate) con l'aggiunta
di mosto concentrato o altri sottoprodotti del vino
(solitamente a base zuccherina, per quanto in Italia sia vietato aggiungere
dello zucchero vero e proprio). La maggior parte dei vini bianchi non
passa molto tempo in botte, e dopo alcuni mesi è pronta all'imbottigliamento;
i rossi invece possono essere lasciati invecchiare
fino a 5 anni o più.
Negli ultimi anni è molto in voga la barrique,
ossia un tipo di botte di rovere molto piccola, che conferisce al vino
un gusto molto morbido, quasi vanigliato. Questa procedura fa storcere
il naso a più di un esperto, dal momento che alcuni enologi sostengono
che “appiattisca” vini diversi su aromi molto simili. Sicuramente
una botte più piccola significa che una maggiore quantità
di vino entra a contatto diretto con il legno, assorbendone
gli aromi in maniera più consistente; se questo sia un fatto
positivo o negativo è una questione di gusto personale.
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