Vino e gomma arabica
Suscita molto scalpore in questo periodo l’autorizzazione
data ai produttori vinicoli europei per l’impiego dei “chips”,
ossia trucioli di legno, nella vinificazione. L’espediente
serve per ottenere un surrogato dell’”effetto legno”
dato dal lungo invecchiamento in botte.
Si tratta comunque di una pratica destinata a vini abbastanza scadenti,
i cui segni sono chiaramente riconoscibili dagli intenditori; non è
così invece per altri additivi, perfettamente
legali, che possono essere aggiunti a praticamente qualsiasi vino, anche
i più prestigiosi.
E’ il caso della gomma arabica, un additivo alimentare
piuttosto comune identificato con la sigla E414: oltre a caramelle e
dolciumi assortiti, anche diversi vini le devono parte del loro successo.
Vino “liscio” o “corretto”?
Produrre un vino con caratteristiche organolettiche ineccepibili in
maniera naturale è possibile, ma richiede pratiche
enologiche di alto livello, risultato di investimenti cospicui e grande
esperienza professionale. Quando uno o più di questi requisiti
non sono soddisfatti, si ricorre a delle correzioni “postume”
appena prima o durante il processo di affinamento.
Nell’antichità (ma anche in tempi relativamente recenti)
si ricorreva a tecniche artigianali, come l’aggiunta di miele,
zucchero, glicerina e altri aromi per correggere i difetti del vino,
mentre al giorno d’oggi l’operazione si è fatta più
scientifica e “chimica”.
Gli eccessi di sapore acido e amaro (comuni soprattutto
ai vini rossi) risultano sgraditi ai consumatori: per evitarli bisognerebbe
ottenere una perfetta maturazione dell’uva, che favorisce la concentrazione
di zuccheri, ammorbidisce i tannini (sostanze responsabili
dell’effetto “astringente” al palato) e crea un equilibrio
ideale tra dolce e acido nel mosto.
Questo risultato è possibile solo con un lavoro scrupoloso in
vigna e spesso richiede, soprattutto nelle regioni settentrionali, di
limitare la resa dei vigneti e selezionare solo i grappoli
migliori, per non “annacquare” l’uva. Naturalmente
ciò implica ridurre anche la quantità di vino prodotto
e di conseguenza i potenziali introiti: ecco quindi che molti produttori
preferiscono ricorrere a dei trucchi più o meno efficaci.
Uno dei meno invasivi è il residuo zuccherino:
in pratica si interrompe la fermentazione (con il freddo o l’aggiunta
di anidride solforosa), impedendo a una parte degli
zuccheri di trasformarsi in alcol. Lo zucchero d’uva non fermentato
addolcisce il vino, lo rende più denso e morbido. Questa operazione
richiede però costosi procedimenti di microfiltrazione
che eliminino microrganismi indesiderabili, i quali potrebbero trovare
nutrimento proprio negli zuccheri.
Un sistema più economico e semplice è l’aggiunta
di gomma arabica, un additivo consentito senza alcuna limitazione
dalla legislazione italiana (mentre, ad esempio, negli Stati Uniti è
ammessa fino ad un massimo di 5 g/l), che non obbliga ad indicarla in
etichetta. Questa sostanza può essere aggiunta anche a
vino già pronto ma non ancora imbottigliato, consentendo
pertanto di fare tutte le prove necessarie.
La gomma arabica ha un sapore dolce, ma a differenza delle sostanze
zuccherine non fermenta; inoltre, contribuisce a
stabilizzare il colore del vino e ad addensarlo. E’
incolore e inodore, pertanto non è facile riconoscerne
la presenza all’assaggio; per di più, non costa più
di qualche centesimo per litro di vino “trattato”.
Per saperne di più:
Alcuni enologi, intervistati dal giornalista Paolo Macchi
su Winesurf, hanno
detto la loro sulla gomma arabica.
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